Festa democratica
>> lunedì 24 agosto 2009
Tratto Dall'Unità
Gli scongiuri della Festa: "No, non sarà un congresso"di Marco Bucciantini
Tutte? «Sì, le ho fatte tutte. Avevo diciassette anni nel 1945. Andai nei boschi di Mariano Comense, per la prima Festa dell’Unità, e la guerra era appena uscita di casa. Poi ho vissuto ad Ancona, e lì stavo ai piatti. Poi sono venuto a Genova e da vent’anni tengo il bar». Marino Giorgi si piega verso le domande per capire meglio. Sorride per abitudine, sorride anche quando non sente bene. È del 1928, un anno prima della grande crisi, più grande di quella di oggi. Il sole è ospite fisso a Genova, ma Marino non è stanco, non siede, «lascio correre Barbera e Brachetto. Mi piace la gente che viene qui e si ferma un po’. I volontari mi usano come un libro di storia e mi chiedono cos’è cambiato in questi 64 anni». Ci ha letto nel pensiero. «Siamo cambiati noi: un tempo la sera ci si aspettava, se qualcuno aveva la macchina riportava a casa quattro compagni. Adesso a mezzanotte ti fanno un saluto».Marino le ha fatte tutte, i grandi comizi, le bandiere rosse, i compagni, il festoso momento di forza del partito. Questa è la prima Festa che può essere campo di scontro, di conta, dove i candidati alla segreteria si misurano, si fronteggiano. È il primo pannello di un trittico che comincia a Genova, s’infiammerà al congresso di Roma e finirà con le primarie: c’è una segreteria da conquistare, qualcosa passerà anche dalla Festa, la pancia del partito. «Non credo non è un congresso. Qui s’incontrano i cittadini con i loro problemi», assicura Lino Paganelli, che a 49 anni ha trovato la battuta della vita, un colpo a Berlusconi mica male. Nel suo studiolo di 10 metri quadrati, sulla scrivania di plastica bianca il telefono suona spesso, teme un rimprovero dall’alto e invece sono carezze. Passa Livia Turco: «Hai detto una superbattuta». L’ex ministro va a presentare il suo Muretto le storie di un Italia multietnica, in fondo a una settimana infame: «Quei 73 morti sono una vergogna». I cronisti la sollecitano: i ministri che non vengono, gli omosessuali che chiedono più sostegno dalla Festa. La Turco prova la quadra: «Sarebbe bello venisse la Carfagna, che si occupa di Pari opportunità ed è stata invitata, e si indignasse dell’omofobia che ribolle nel Paese».Dal fronte dei ministri nessuna novità, ma Tremonti non ha ancora annunciato la defezione. «Rinnoverò l’invito, vogliamo dialogare con tutti e anche con chi governa questo Paese», ripete Franceschini. Il segretario stasera sarà intervistato nello spazio intitolato a Guido Rossa, l’operaio-sindacalista ammazzato dalle Br. Un colpo d’occhio: sotto il tendone, il verde e il bianco dominano sul rosso. Le proporzioni sono un segno dei tempi, ma il tricolore regge e sabato tutto è cominciato con l’inno suonato dalla filarmonica di Sestri Ponente, perché fu la prima a intonarlo nel 1847. D’altronde, Goffredo Mameli era genovese. Dopo le pinete e gli spazi aperti la Festa si è piazzata nel Porto Antico, 150 mila metri quadrati a fronteggiare e duellare con il mare, «sistemati» da Renzo Piano. Gli stand assecondano lo scalo, muovendosi un po’, ma alla fine tutto si trova e poi la gente viene, a mezzanotte la piazzetta è per i piccoli arabi che giocano a calcio, e in fondo queste sono feste di gente, mica di ministri. Se verranno potranno scegliere fra il porcino fritto dei volontari e il branzino arrosto dei liguri, perché tutto si è mescolato. La libreria con i suoi 20 mila titoli è nella Loggia di Banchi, che ospitava la borsa merci di questo popolo che viaggiava il mare e viveva di commercio. «Io vivevo di giornali, facevo il tipografo al Secolo XIX». Gianni Mongiardini adesso cuoce le bistecche. Ha capelli bianchi ordinati, occhi castani contornati da ciglia folte e una cicatrice sopra il naso. «Mi hanno prepensionato a 48 anni: da allora aiuto alla Festa». Gianni mastica un boccone di pane e mortadella, prima di iniziare la serata davanti alla griglia: «Voglio un partito unito e una Festa fatta bene». Cosa significa «fatta bene»? «Che finito il turno ceniamo qui, insieme e parliamo di politica e di pallone». Al punto informativo su mozioni e primarie, la gente passa e si prende il libretto con i discorsi di Enrico Berlingueri e guarda la foto di copertina con affetto.
24 agosto 2009
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Tutte? «Sì, le ho fatte tutte. Avevo diciassette anni nel 1945. Andai nei boschi di Mariano Comense, per la prima Festa dell’Unità, e la guerra era appena uscita di casa. Poi ho vissuto ad Ancona, e lì stavo ai piatti. Poi sono venuto a Genova e da vent’anni tengo il bar». Marino Giorgi si piega verso le domande per capire meglio. Sorride per abitudine, sorride anche quando non sente bene. È del 1928, un anno prima della grande crisi, più grande di quella di oggi. Il sole è ospite fisso a Genova, ma Marino non è stanco, non siede, «lascio correre Barbera e Brachetto. Mi piace la gente che viene qui e si ferma un po’. I volontari mi usano come un libro di storia e mi chiedono cos’è cambiato in questi 64 anni». Ci ha letto nel pensiero. «Siamo cambiati noi: un tempo la sera ci si aspettava, se qualcuno aveva la macchina riportava a casa quattro compagni. Adesso a mezzanotte ti fanno un saluto».Marino le ha fatte tutte, i grandi comizi, le bandiere rosse, i compagni, il festoso momento di forza del partito. Questa è la prima Festa che può essere campo di scontro, di conta, dove i candidati alla segreteria si misurano, si fronteggiano. È il primo pannello di un trittico che comincia a Genova, s’infiammerà al congresso di Roma e finirà con le primarie: c’è una segreteria da conquistare, qualcosa passerà anche dalla Festa, la pancia del partito. «Non credo non è un congresso. Qui s’incontrano i cittadini con i loro problemi», assicura Lino Paganelli, che a 49 anni ha trovato la battuta della vita, un colpo a Berlusconi mica male. Nel suo studiolo di 10 metri quadrati, sulla scrivania di plastica bianca il telefono suona spesso, teme un rimprovero dall’alto e invece sono carezze. Passa Livia Turco: «Hai detto una superbattuta». L’ex ministro va a presentare il suo Muretto le storie di un Italia multietnica, in fondo a una settimana infame: «Quei 73 morti sono una vergogna». I cronisti la sollecitano: i ministri che non vengono, gli omosessuali che chiedono più sostegno dalla Festa. La Turco prova la quadra: «Sarebbe bello venisse la Carfagna, che si occupa di Pari opportunità ed è stata invitata, e si indignasse dell’omofobia che ribolle nel Paese».Dal fronte dei ministri nessuna novità, ma Tremonti non ha ancora annunciato la defezione. «Rinnoverò l’invito, vogliamo dialogare con tutti e anche con chi governa questo Paese», ripete Franceschini. Il segretario stasera sarà intervistato nello spazio intitolato a Guido Rossa, l’operaio-sindacalista ammazzato dalle Br. Un colpo d’occhio: sotto il tendone, il verde e il bianco dominano sul rosso. Le proporzioni sono un segno dei tempi, ma il tricolore regge e sabato tutto è cominciato con l’inno suonato dalla filarmonica di Sestri Ponente, perché fu la prima a intonarlo nel 1847. D’altronde, Goffredo Mameli era genovese. Dopo le pinete e gli spazi aperti la Festa si è piazzata nel Porto Antico, 150 mila metri quadrati a fronteggiare e duellare con il mare, «sistemati» da Renzo Piano. Gli stand assecondano lo scalo, muovendosi un po’, ma alla fine tutto si trova e poi la gente viene, a mezzanotte la piazzetta è per i piccoli arabi che giocano a calcio, e in fondo queste sono feste di gente, mica di ministri. Se verranno potranno scegliere fra il porcino fritto dei volontari e il branzino arrosto dei liguri, perché tutto si è mescolato. La libreria con i suoi 20 mila titoli è nella Loggia di Banchi, che ospitava la borsa merci di questo popolo che viaggiava il mare e viveva di commercio. «Io vivevo di giornali, facevo il tipografo al Secolo XIX». Gianni Mongiardini adesso cuoce le bistecche. Ha capelli bianchi ordinati, occhi castani contornati da ciglia folte e una cicatrice sopra il naso. «Mi hanno prepensionato a 48 anni: da allora aiuto alla Festa». Gianni mastica un boccone di pane e mortadella, prima di iniziare la serata davanti alla griglia: «Voglio un partito unito e una Festa fatta bene». Cosa significa «fatta bene»? «Che finito il turno ceniamo qui, insieme e parliamo di politica e di pallone». Al punto informativo su mozioni e primarie, la gente passa e si prende il libretto con i discorsi di Enrico Berlingueri e guarda la foto di copertina con affetto.
24 agosto 2009